Con il termine icona derivante dal greco bizantino (éikòna) si intende una immagine e indica una raffigurazione sacra dipinta (o più correttamente “scritta”) su tavola, prodotta nell’ambito della cultura bizantina e slava, assumendo nell’iconografia cristiana una propria fisionomia intorno al V secolo. Le icone erano realizzate su tavole di legno (tiglio, larice o abete), dove le superfici, dopo idonee opere di levigatura, erano adatte ad accogliere la doratura e la pittura. I colori sono ottenuti da sostanze naturali, vegetali o minerali, oppure ricorrendo a frammenti di metalli ossidati; pestati a mortaio, finemente macinati, ed uniti a leganti organici (tuorlo d’uovo o caseina). Dopo un iniziale schizzo, la pittura prende avvio con la doratura di tutti i particolari (bordi dell’icona, pieghe dei vestiti, aureola), quindi ad arricchire di colore i vestiti, gli edifici e il paesaggio, se presente. Particolare cura era riposta nei volti, su fondo chiaro, aggiunte a tratti, contorni e linee di colori più scuri (zigomi, fronte, naso) mentre di rosso i contorni di labbra e guance; infine, di marrone, si ripassano i bordi di occhi, ciglia e se presenti barba e baffi. L’icona è nella sua essenza un’arte religiosa e anche un’arte teologica. L’icona fa parte della grande corrente della tradizione, cioè della vita interiore della Chiesa, prolungamento dell’incarnazione di Dio, intimamente legata al Vangelo e alla liturgia. Ogni icona, anche la più modesta, non si limita a “descrivere” una scena o un personaggio ma implica pure uno sfondo teologico. Scrivere un’icona è un lavoro che significa attraversare un tempo di digiuno e di contemplazione. Ogni pennellata è diluita nel ritmo dell’orazione con spirituali invocazioni che rendono morbide le sfumature, è il cuore di chi si accinge a trasformare la lode in colore. L’icona è il riflesso della natura divina umana senza mescolanza nella persona di Cristo. Questo principio dell’unione del divino e dell’umano domina tutti i campi della vita della Chiesa bizantina: la sua dottrina, i suoi sacramenti, le sue relazioni con il mondo, la sua liturgia e la sua arte. L’icona è una visione dell’invisibile.
di Anna Maria Ragno (da Albania news )
In te si rallegra tutto il Creato
Cristo risorto è la nostra Pasqua. Christòs anèsti! Alithòs anèsti!
Autore: Eustathios Karusos di Cefalonia (1750-1818)
Anno: 1767 circa. Tecnica: Tempera con uovo su tavola
Committente: Costantino Vlasi (Blasi), capitano del reggimento Real Macedone
Il titolo dell’icona dice in greco: La resurrezione del Salvatore nostro. Il Cristo risorto, con l’aureola crucifera e le classiche lettere O ON è rappresentato nella forma occidentale del trionfatore sulla morte, quindi con il vessillo su cui campeggiano le parole di vittoria in greco: Gesù Cristo vince presso il sepolcro aperto. Accanto a lui vi sono due angeli con le ali spiegate, in basso un soldato seduto per terra ed un altro che si allontana per avvertire dell’accaduto le autorità (Matteo 28, 11-15). Sullo sfondo appare la citta di Gerusalemme. Nella parte inferiore sinistra dell’icona vi è la scritta dedicatoria in greco: A devozione del Servo di Dio Costantino Vlasi.
L’Universitas Vivariensis e la Parrocchia bizantina italo greco albanese “Santissimo Salvatore” di Cosenza, hanno inteso organizzare una serie di incontri (YPAPANTI’) per far conoscere al grande pubblico la spiritualità e la bellezza delle icone bizantine.
Si inizia venerdì 21 aprile 2017 a Cosenza nel salone del Seminario Maggiore Eparchiale di Lungro (in via Paparelle, 16 – dietro la Chiesa di San Francesco di Paola), alle ore 18,30 con un incontro introduttivo al mondo delle icone, a cura di Demetrio Guzzardi e del protopresbitero Pietro Lanza.
Sabato 22 aprile la visita guidata alle Chiese di Acquaformosa e Lungro. L’appuntamento (con auto proprie) è alle ore 15 all’ingresso dell’Autostrada a Cosenza; dalle 16 alle 18 si visiterà la Chiesa di San Giovanni Battista ad Acquaformosa, tutta mosaicata, subito dopo a Lungro la visita alla Cattedrale. La serata sarà conclusa al Museo delle arti e delle tradizioni di Firmo.
Nel mese di giugno è prevista una nuova uscita per conoscere le Chiese bizantine di: Santa Sofia d’Epiro, San Demetrio Corone e San Cosmo Albanese.
https://issuu.com/deguzza/docs/proiezione_icone
https://issuu.com/iconecristiane/docs/madre_di_dio_panaghia_in_trono_x_is
Copertina da Tesi di laurea dal titolo L’ICONA DELLA MADRE DI DIO ODIGITRIA NELL’OASI ORIENTALE DI VILLA BADESSA: STORIA E STUDIO DELL’OPERA E DEI RESTAURI , Mariangela Luciani (a.a. 2010/2011, Università degli Studi di Urbino), Relatore prof.ssa Grazia De Cesare.
Testo da Tesi di laurea dal titolo LA COMUNITA’ ARBËRESHË DI VILLA BADESSA OGGI: LE EREDITA’ DEL PASSATO COME RISORSA PER IL FUTURO, G iuseppe De Micheli (a.a. 2010/2011, Università G.’Annunzio, Chieti-Pescara).
Le icone sono prestigiose e culturalmente importanti. Nell’ambito della cultura bizantina e slava “eikon” in greco vuol dire “immagine”, ovvero un’immagine sacra dipinta su tavola. In realtà l’icona è l’espressione grafica del messaggio cristiano, per questo motivo nelle lingue slave le icone non si dipingono ma si “scrivono”, al punto che si può parlare di arte teologica e non di arte religiosa [1].
“Quando nel 1453 l’Impero Romano d’Oriente crollò, i popoli balcanici rafforzarono il significato di queste raffigurazioni sacre poiché il simbolismo e la tradizione non coinvolgevano solo l’aspetto pittorico [2]. Le icone, dipinte rigorosamente su legno, erano scavate all’interno in modo da creare uno sbalzo sul bordo che poi sarebbe diventata la cornice dell’opera, concepita e creata come un tutt’uno con l’opera. La grande differenza che intercorre tra le icone bizantine e i quadri cattolici risiede nella visione stessa dell’iconografia che, in Oriente, richiedeva una profonda preparazione spirituale e non solo abilità tecniche come in Europa. Il pittore infatti prima di iniziare a dipingere passava un periodo di ascetismo che gli permetteva, attraverso una profonda purificazione mentale e spirituale, di entrare in dialogo con il Divino che infine “ispirava” la riuscita del lavoro. Proprio per questa particolare strada spirituale ed il loro contenuto teologico, le icone erano considerate come opera di Dio che si esprimeva attraverso le mani dell’iconografo; i volti “illuminati” dei santi sono inseriti in uno spazio spirituale senza tempo ma presenti nel loro corpo di umano e di mortale […].
Nella chiesa dell’Assunta sono custodite 77 preziose icone, espressione della cultura bizantina, realizzate tra il XV e il XX secolo. La più celebre delle ikòne dedicate alla Theotòkos è quella dell’Odigìtria (che ci guida, del buon cammino) [3]. La venerazione di questa Ikòna può rifarsi ai tempi di Pulcheria, sorella dell’imperatore Teodosio II (450). Per i Profughi greco-albanesi approdati in Italia, l’Odigìtria, da Corifèo, fu Colei che ha fatto da guida ai nostri antenati nelle terre ospitali d’Italia [4]. Rimane per sempre la sicura Guida verso il Suo Figlio, Gesù, Redentore del mondo, ed inconcussa Mediatrice presso il Creatore, l’invincibile Protettrice dei Cristiani, la Madre della Chiesa. Le icone rappresentano fedelmente ciò che troviamo scritto nelle Sacre Scritture [5], non sono semplici raffigurazioni, non possono essere giudicate con gli stessi caratteri di un quadro, né possono avere lo stesso ruolo di un dipinto. L’icona può essere vista come una finestra spirituale aperta a tutti coloro che sono in grado di coglierne l’essenza. Alcuni ritengono pertanto che non sia appropriato definire l’icona come una semplice rappresentazione artistica.
Come in tutte le raffigurazioni sacre, i colori assumono un’importanza fondamentale, così come le caratteristiche ricorrenti fanno tutte capo ad una ben precisa tradizione.
Il blu, ad esempio, rappresenta il colore della trascendenza, mistero della vita divina. Il rosso è indubbiamente il colore più vivo presente nelle icone: è simbolo dell’umano e del sangue versato dai martiri.
Il verde è spesso usato come simbolo della natura, della fertilità e dell’abbondanza.
Il marrone, invece, simboleggia ciò che è terrestre e nella sua natura più umile e povero.
Il bianco è il colore dell’armonia, della pace, il colore del divino che rappresenta la luce che è vicina.
Le lettere dipinte sull’icona assumono un particolare valore: le icone del Cristo presentano sempre la dicitura “IC XC” (forma greca abbreviata di Gesù Cristo) e anche “O ΩN”(“colui che è”; il simbolo è generalmente inserito nell’aureola). La vergine Maria invece, presenta la dicitura “MP ΘY”(forma greca abbreviata di Madre di Dio). Le iscrizioni non hanno solo una valore didascalico, ma certificano l’identità del raffigurato e ne invocano la presenza all’interno dell’icona.
Le espressioni dei personaggi hanno sovente un grande valore simbolico: Gesù Cristo viene rappresentato mentre benedice ed indica con la mano il numero tre (la Trinità). La Vergine Maria viene dipinta con la mano che indica il Figlio che porta in braccio.
“L’importanza di queste opere [6], considerate un vero e proprio tesoro non solo dal punto di vista artistico e storico, deriva dal fatto che esse rimangono l’espressione materiale più autentica della realtà arbëreshe di Villa Badessa, un’eccezionale attestazione tangibile di un’individualità e attaccamento culturale conservatasi nei secoli che hanno fatto si che si mettesse insieme e custodisse un patrimonio iconografico post-bizantino di grande importanza. Si tratta di icone dipinte da vari artisti delle isole jonie e dell’Epiro nel XVIII e XIX secolo, che costituiscono un esempio emblematico del variegato mondo espressivo dell’arte sacra di tradizione bizantina a contatto con l’occidente. Nel mio libro si è voluto considerare l’icona come documento, non solo sotto il profilo artistico e culturale ma anche storico, nell’intento di ripercorrere e inquadrare le ispirazioni di fondo e le radici stesse della comunità[…]. Sull’altare della Preparazione (Prothesis) nella chiesa dedicata alla Dormizione della Madre di Dio a Villa Badessa, vi è l’icona Akra Tapinosis (grande umiliazione) […]. Quest’icona è un punto di riferimento per conoscere la fase iniziale di Villa Badessa, perché l’esame della metà inferiore, con i nomi da commemorare ci introduce nel novero dei suoi membri. E’ possibile infatti leggere un elenco di nominativi della comunità badessana, aggiornato a più riprese dalla metà del’700 fino ai primi dell’800. L’immagine è stata dipinta verosimilmente nel 1767, un quarto di secolo dopo la fondazione del paese […].”
Nel 1965 alcune tra le più preziose icone furono interessate da un’importante campagna di restauro voluta dal papàs (parroco) Lino Bellizzi e a cura dell’allora Ministero della Pubblica Istruzione che le dichiarò “opere di interesse nazionale”, tali da costituire la più ricca collezione di icone epirote (dell’Epiro, una regione della Grecia nord-occidentale e dell’Albania meridionale) esistente in Europa occidentale.
In epoca più recente la collezione di icone ha beneficiato di una migliore disposizione in chiesa, di un aumento di unità grazie a nuovi dipinti e di una maggiore attenzione della comunità che si è manifestata nella volontà di procedere ad un sostanziale intervento di restauro conservativo… “[…] Questo patrimonio iconografico ha bisogno di un restauro organico che preveda il risanamento e la bonifica del legno, la pulitura e il consolidamento della pellicola pittorica[…]” dice ancora Gaetano Passarelli nella sua pubblicazione “ Le icone e le radici”, un’opera di grande validità ed utilità, sia come catalogazione delle opere sia come spiegazione e quindi valorizzazione delle icone.
[1] Secondo il teologo Eudochimos da http://it.wikipedia.org/wiki/Icona_(arte)
[2] http://terpress.blogspot.com/2010/02/villa-badessa-vicino-pescara-unisola.html
[3] Madonna Odigitria (dal greco antico ὸδηγήτρια, colei che istruisce, che mostra la direzione)
[4] http://www.villabadessa.org/html/icone_di_villa_badessa_49.html
[5] http://www.gioni.net/le_icone.htm
[6] Gaetano Passarelli (2006)- Le icone e le radici-Le icone di Villa Badessa-Rosciano
Per un approfondimento sul significato delle icone, leggere articolo del Diacono Prof. Luigi Fioriti, da pag. 63-68. pubblicato sulla Rivista LAYME NOTIZIE, del 2012 (vedere link).
Qui di seguito riportiamo copia della lettera indirizzata a papas Lino Bellizzi nel 1995 da un fiero arberor, il sig. Matteo Di Lena da San Donà di Piave.
Dipinto del Museo Correr, inedito, con la battaglia navale nello stretto di Corfù tra la flotta ottomana e quella veneziana, avvenuta l’8 luglio del 1716.
Icona sacra “Miracolo di Corfù” presente nella chiesa di S.M. Assunta a Villa Badessa; nella parte superiore è presente San Spiridione…; in basso è riportata la sola flotta di navi turche che assediano l’isola di Corfù, mentre tutta la popolazione dei fedeli invoca in preghera proprio l’intercessione del Santo….
Noi siamo soliti quando illustriamo questa icona, narrare che Corfù si salvò grazie a S. Spiridione che “provocò” un maremoto, uno “tzunami” a seguito del quale le imbarcazioni andarono a picco ! Quindi non riportiamo le sorti della battaglia del 1716, in quanto l’icona stessa non mostra una battaglia tra imbarcazioni di opposte fazioni…(veneziani e turchi).
tratto da http://www.dimarcomezzojuso.it/autore.php?id=349
Passarelli-Leiconeeleradici-LeiconediVillaBadessa-TERZAPARTE
Passarelli-Leiconeeleradici-LeiconediVillaBadessa-SECONDAPARTE
Passarelli-Leiconeeleradici-LeiconediVillaBadessa-PRIMAPARTE