Nato il 17 marzo del 1917 a Pescara, oggi dunque festeggia l’importante traguardo che lo trova «consapevole e sereno», «sorridente come sempre», assicura chi lo conosce, nella sua casa in corso Vittorio Emanuele dove vive in completa autonomia con la moglie Laura, gentile signora di 93 anni, pensionata delle Poste (dopo 47 anni di servizio). Con loro a spegnere le cento candeline (pare che la sorpresa sia un pranzo nel roof garden con vista sul mare dell’hotel Esplanade) ci saranno il sindaco Marco Alessandrini, a portare l’omaggio della città, le figlie Roberta, insegnate di inglese al liceo Galilei, Patrizia, che invece insegna latino e greco al classico di Ostia, i generi che lo adorano, Aquilino e Lucio, i nipoti Niccolò, Michele e Lorenza.
Maestro Miscia in quale quartiere è nato e come era la sua famiglia di origine?
Abitavo in via dei Bastioni con i miei fratelli, mia madre Imelde e mio padre Luigi, uomo grande e generoso di una famiglia originaria di Chieti, che dopo essersi innamorato di mia madre partì per gli Stati Uniti, dove lavorò per 3 o 4 anni come magazziniere durante “i ruggenti anni ’20” e dopo essere tornato, con i soldi guadagnati aprì un alimentari in corso Manthonè e sposò mia madre. Dall’America aveva riportato un grammofono a tromba con un disco che suonava: Fumando la pipa, il fumo agli occhi ti va e ti fa lacrimar, fumando la pi… fumando la pa…. Il fumo agli occhi ti va… Aveva imparato un inglese maccheronico e ricordo che era solito ripetere: “uane miniut, uane miniut” ai clienti che si affollavano in negozio. Poi si ammalò e, lasciato il suo negozio, cominciò a lavorare in un generi alimentari in piazza Unione come commesso. Noi nel frattempo eravamo andati ad abitare nel grande palazzo dietro a piazza Unione, al 1° piano.
Insomma una infanzia nel nucleo originario di Pescara.
Quando ero piccolo, ero il terzo di sei fratelli, ricordo molto bene quando il nostro grande poeta vate Gabriele arrivava a Pescara e ammarava con il suo idrovolante lungo il porto canale e giunto in prossimità del ponte della ferrovia, saliva da Porta Sale e andava a trovare la madre nella sua casa natale, avvolto da un grande mantello nero, sempre di corsa, a grandi falcate, o anche quando veniva a trovare un amico al 2° piano del mio palazzo e a me e ai miei coetanei appariva come un eroe misterioso, incuteva timore, ma anche affascinava con il suo fare tenebroso.
Dove ha studiato?
Sostenni l’esame di terza media a Città Sant’angelo e frequentai l’istituto magistrale a Porta Nuova.
Durante il fascismo era adolescente, come se la cavò?
Del ventennio ricordo i famosi “sabati fascisti” quando non si andava a scuola e ci tenevano impegnati tutti per esercitazioni ginniche e per l’inquadramento nel regime, così quando marinavamo queste adunate arrivavano puntualmente i carabinieri e ci portavano in carcere per una notte, a meditare sul “terribile affronto” perpetrato nei confronti di quel “dux” e “lux” che ci condusse nel buio profondo della guerra.
Che lei ha combattuto.
Partii come soldato semplice per Trieste, pochi mesi dopo fui trasferito a Bologna nell’8ª armata e il comandante mi mise a disposizione una stanza personale dove studiare e prepararmi per l’esame di diploma, in modo da poter frequentare il corso da sottufficiale. Fui inviato al confine con la Francia, a Santalmazzo e da lì in Mar Egeo, sull’isola di Lero. E da qui fui deportato dai tedeschi in un campo di concentramento in Polonia e in seguito di Wietzendor, in Germania, dove ho condiviso la prigionia con lo scrittore Giovannino Guareschi, l’attore Gianrico Tedeschi. In guerra la paga era di 1000 lire al mese che spedivo a casa Al ritorno dalla guerra in una festa da ballo per il battesimo di mia nipote incontrai Laura, l’amore della mia vita, che divenne mia moglie dopo 5 anni di fidanzamento, precisamente l’8 ottobre 1950.
Come fece colpo su di lei?
Fu colpita dal mio atteggiamento mesto e sommesso, silenzioso, ancora scioccato dagli orrori della guerra e della prigionia, e dalla mia camicia bianca di seta pura. Così quella sera, ballando, i nostri cuori cominciarono a battere all’unisono. Andai a trovarla all’ufficio dove lavorava già il giorno dopo e da allora non ci siamo mai più lasciati, con la gioiosa presenza, dopo il matrimonio, di due splendide figlie, insegnanti alle superiori, come me che sono stato maestro all’elementari.
Le piaceva la scuola? Dove ha insegnato?
Prima a Corvara come supplente, poi per pochi mesi ho lavorato al Genio civile e dopo aver superato il concorso magistrale entrai di ruolo alle elementari di Villa Badessa e in seguito a Villa Fabio, vicino all’ospedale civile, dove, dopo aver “allevato tanti pulcini” e aver avuto tante soddisfazioni, sono andato in pensione nel 1976.
Cosa le piace della vita?
Io ringrazio il Signore per la splendida vita che mi ha concesso e di poter continuare a scrivere, mia grande passione, umili pensieri, impressioni e poesie, perché rimango ancora incantato da tutto ciò che mi circonda e come un bambino mi meraviglio sempre del mondo.